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L'Uomo, quella macchina

Posted on by Anonymous17

L'Uomo, quella macchina

Perché abbiamo paura di provare, di risentire? E fin da piccoli impariamo a fingere, essere spudorati, sempre nei limiti delle convenzioni. Norme, tradizioni che ci trasformano in uno spettacolo satirico della vita. Finché non diventiamo le marionette di noi stessi. Padroni di nulla, se non di un apparenza che si vuole identità. Sorrisi come monete di scambio e lacrime come strumenti di manipolazione. Ogni giorno, sempre nella noia del giorno di prima. Ogni giorno a nascondersi nell'angolo per piangere. Mentiamo a noi stessi, agli altri e alla vita stessa. La nostra umanità scivola via, inghiottita dalla società della proibizione emozionale.

Ci viene insegnato a vivere sullo schermo e fingere nella vita. Abbiamo bisogno degli attori per contemplare ciò che non siamo capaci di fare. La sublimazione del sentimento mediatico è la morte di ogni spinta emozionale reale. Ci distraiamo con letture che crediamo aleatorie ma cosa si nasconde dietro questa sete di romanzi? Non è forse perché le letture sono ciò che più si avvicina alla possibilità di provare davvero? L'Arte è davvero un illusione? Non siamo forse noi la maschera dell'Arte? Maschere. Questi personaggi cartacei sono più autentici di quanto noi, esseri in carne ed ossa, saremmo mai. Perché a loro è concesso vivere in un mondo dove l'emozione è pregio e non debolezza. Non è paradossale che noi esseri materiali troviamo la nostra ricchezza confinando l'immateriale a parole ed immagini?

Come siamo arrivati a questo? Ad essere macchine sotto false spoglie? Robot anestetizzati dalla quotidianità che cercano riparo nell'immaginazione? Ci somministrano immagini di morte, dolore, tortura in contemporanea con amore, altruismo e sacrificio dando alla sofferenza un ruolo fondamentale, quello di un male minore. Un male necessario al compimento di uno scopo più grande, che ancora non possiamo cogliere. E la vita ci sembra un evidenza. Nessuno si estasia più per un fiore che sboccia. Preferiscono i quadri di nature morte. E svegliarsi ogni giorno è una tortura ma sognare ogni notte, una benedizione.

Restano i muscoli, sangue che pompa caldo e denso, un difficile reticolato di nervi e carne che la bibbia dice “debole”. Debole perché soggetta alle tentazioni del mondo terrestre. Debole perché cosi meravigliosamente umana e viva. Ma nella nostra ricerca dell'utopico perdiamo questo paradiso che è il mondo. Un mondo a colori, un mondo palpabile, da assaporare con tutti i sensi. Perdiamo ciò che significa davvero essere umani. Risentire. Gli animali amano? Gli animali hanno paura? Gli animali odiano? No. Eppure Dio si. Dio conosce la vendetta, l'amore assoluto, la delusione. Dio è, in questo senso, più umano di noi. Ma noi? Noi passeggiamo per strada e ignoriamo i menomati che chiedono la mancia. Vediamo qualcuno in difficoltà e giriamo lo sguardo. Proviamo rabbia e razionalizziamo. Rinunciamo alla nostra integrità e chiamiamo questo evolversi. Uccidiamo l'individuo, e lo chiamiamo progresso. Guerra dopo guerra, anno dopo anno, generazione dopo generazione, il vero significato di umanità si perde. Nessuno è più innocente, tutti hanno colpe ma nessuno conosce il pentimento, perché giustificato da un ideale internazionale che si vuole politicamente corretto.

E tutto viene fatto all'insegna del politicamente coretto. Ma cosa significa? Un dizionario vi dirà che è una riforma linguistica che si rifugia dall'offesa e previene le discriminazioni, vietando l'uso di “epiteti offensivi”. Molti termini si sono evoluti. I minorati sono passati da handicappati a diversamente abili. I negri in America sono gli afro-americani. E cosi via. Cosa porta? La possibilità di intavolare discussioni civili su problematiche attuali. O cosi dovrebbe essere. Ma che vengano chiamati negri o afro-americani, restano neri. La lingua non sancisse tutto. Cos'è il politicamente corretto, se non una forma giustificata e legislativa di ipocrisia? Cosi, anche il governo si presta a questo gioco di ruolo, a questo impedimento emotivo che trasforma l'uomo compassionevole in una macchina che può fruttare alla società. Un società che è un esordio per l'indifferenza, anzi, un vero e proprio elogio. Il narcisismo che si va via vai diffondendo è forse responsabile di questa ondata di indifferenza? O tutto ciò è forse la conseguenza di anni e anni di regolazione emotiva che ha finito col cancellare ogni traccia di empatia. Certo, l'Uomo ha sempre compiuto atroci crudeltà, ma oggi la guerra e dovunque e mai siamo stati più ripiegati su noi stessi. Fuggiamo da spettacoli che potrebbero urtare la nostra sensibilità o siamo forse diventati realmente indifferenti al dolore degli altri? Il “politicamente corretto” è simbolico di un umanità che si delinea poco a poco come una macchina perfezionista e impassibile, che nasconde la sua freddezza sotto formule di cortesia.

Ormai la nostra vita privata è di dominio pubblico. Ma perché? E' solo il puro desiderio di apparire? Non traduce forse un incapacità di provare le emozioni intimamente? Condividerle con il mondo, metterle in scena, sembra l'unico modo di realmente viverle. Ecco perché dico che ormai resta solo uno spettacolo satirico della vita. Una parodia dell'emozione e una ridicola imitazione dell'umanità. Perfino la guerra diventa fredda. Un gioco di potere tra due nazioni che non sboccia mai concretamente, perché troppo spaventato dalla sua stessa intensità. Il sesso viene banalizzato, eseguito in modo meccanico come un gioco di ruolo da descrivere agli amici. L'intimità si perde. L'individuo si crea e si ricrea in mancanza di una reale identità al quale aggrapparsi. Il mondo va in malore e noi lodiamo il progresso. Tutto ha un fine, uno scopo, e tutto può essere strumentalizzato. I sentimenti riprodotti, l'arte mani-fatturata. Ma quando tutto viene strumentalizzato, perfino il corpo umano, cosa ci resta? Per usare uno strumento ci vuole un uomo, un creatore, un essere capace di inventare, ma non resterà ben presto nessun artista se continuiamo tutti a fare della nostra persona un opera d'arte, un riflesso dell'interiorità spezzettata dell'Umanità.

Riflettiamo. Perfino l'arte, che si vuole libera da ogni criterio, espressione allo stato puro, si basa su una scala gerarchica elitista. Gli artisti predominano sugli altri e cercano, bene che male, di spiccare. L'arte stessa si piega a questo gioco perverso. Cosi certi artisti si dicono ai margini quando sono al centro stesso di questo conflitto di interessi. Dentro il nuovo, fuori il vecchio. L'educazione vuole creare individui liberi o esempi perfetti di un individuo razionale, non inquinato da stupidi sentimentalismi che lo renderebbero meno efficace? Ma fino a che punto possiamo sputare sulla nostra umanità, rinunciare ai sentimenti, prima di perdere tutto ciò che ci rende umani? Senza voler usare parole scontate, dall'interpretazione dubbia, oserei dire che ciò che abbiamo perso è la nostra anima. Quindi cristiani inveite, ma è tardi. Nietzsche aveva ragione. Dio è morto. Perché Dio, la fede, è quella parte di noi, tremendamente umana, che sa tendersi verso l'infinito. E cosa c'è di più infinito, di più celestiale e inafferrabile di un emozione? Ma esse vengono amalgamate a film di cattivo gusto e strappate dai nostri focolari per esserci riproposte sotto forma di figura eroica irraggiungibile. Messe fuori dalla nostra portata. Vengono sminuite, schiacciate, demonizzate.

Pensare, riflettere. Questi sono i nuovi valori. Anzi, non tanto nuovi, esistono da millenni. Ma mai come adesso sono stati più vividi e realizzabili. Forse perché prima la natura, con la sua potenza, la sua prepotenza, ci ricordava ciò che eravamo. Fragili e deboli umani, destinati a rimanere effimeri nel tempo e a non sopravvivere. E' forse la ricerca dell'immortalità che ci spinge verso l'indifferenza? Senza più nulla per ricordarci la nostra mortalità abbiamo dimenticato ciò che eravamo? Abbiamo dimenticato ciò che ci rendeva vivi? E', a ben pensarci, una conseguenza naturale. Niente morte, niente vita. Se non è più preziosa e rara, ma se è scontata e sottovalutata perché farci caso, perché darle valore? Ma senza amore per la vita, senza quest'affanno perenne per la sopravvivenza, senza questo desiderio di perdurare nel tempo, l'Uomo perde la sua capacità inventiva ma sopratutto perde ogni traccia emotiva, la espelle dal suo organismo come un batterio. Se risentire è una malattia allora cos'è la vita? Per definizione, la vittoria della malattia, e cioè, la morte. Siamo morti prima dell'ora se pensiamo che una vita che valga la pena di essere vissuta non sia composta da emozioni. Ecco l'ultimo, ironico, paradosso. La prova che la morte trionfa sempre sulla vita. Nella ricerca dell'immortalità l'Uomo ha trovato la morte. La Natura è una bestia intelligente. Perché la Natura ha creato l'Uomo e quando Egli ha cercato di imitarla, ha creato la macchina umana.

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